martedì 20 giugno 2017

ESCLUSIVA BST - Il giallo dello scudetto non assegnato nel 1927

Si è tornato diffusamente a parlare nelle ultime settimane del famoso "giallo" relativo allo scudetto del 1927, tolto al Torino per un tentativo di corruzione e mai riassegnato. Quando invece pratica consolidata avrebbe voluto che il tricolore finisse sulle maglie della seconda classificata di quella stagione, ovvero il Bologna. Ora, addirittura, è il presidente stesso del Toro, Urbano Cairo, a reclamarlo, approfittando anche del proprio potere mediatico.
Bologna Sport Time si limita a esporre i fatti e propone in esclusiva il dettagliato resoconto che Carlo Felice Chiesa, giornalista e accurato storiografo delle vicende rossoblù, ha scritto qualche anno fa per il Guerin Sportivo nell'ambito della sua Storia del Calcio Italiano, pubblicata a inserti mensili all'interno del popolare mensile.

Le confessioni
Il campionato 1927-28 ha preso il via, mentre le voci si susseguono inquietanti. Finalmente, giovedì 3 novembre 1927, la svolta: «A pratica completamente istruita» ricorderà Giuseppe Zanetti, «venne convocato il Consiglio federale con una formula nuova. Ad ogni membro venne inviato un telegramma del seguente tenore: “Presidente Federcalcio desidera conferire vossignoria giorno tot ore tot presso sede federale. Saluto. F.to il segretario”. Tutti furono puntuali all’appuntamento, meravigliati che si trattasse di una convocazione generale. Dopo una ampia esposizione dei fatti ricostruiti in base agli elementi raccolti, cominciarono gli interrogatori degli interessati e cioè: Allemandi, Nani, Gaudioso e il giornalista romano. Quest’ultimo mantenne la sua versione aggiungendo anche nuovi particolari, ma gli altri, chiamati avanti al Consiglio a turno, negarono sempre dalle dieci della mattina a tarda sera e solamente nella notte il dottor Nani finì per confessare di aver agito di sua iniziativa e che la società non c’entrava; ammise di aver dato all’Allemandi le venticinquemila lire di sua tasca e di non aver versato il resto ritenendo che il giocatore non lo avesse meritato. Dopo questa confessione fu facile avere quella del Gaudioso, mentre l’Allemandi si chiuse nel più assoluto mutismo, senza più escludere o ammettere fatti».
Il crollo di Nani e la sua confessione (sosterrà sempre di avere agito di propria esclusiva iniziativa: ma la somma di denaro era troppo ingente per non far sospettare qualcosa di più esteso) fanno imboccare all’inchiesta la dirittura d’arrivo. 
Nella foto, l'allora presidente Figc Leandro Arpinati
 
Scudetto addio
Tre giorni dopo, proprio a Bologna è in programma una fondamentale partita della Nazionale contro l’Austria di Hugo Meisl per la Coppa Internazionale e proprio la mattina di domenica 6 novembre, terminata la maratona processuale durata tre giorni, Arpinati fa diffondere un comunicato esplosivo: raggiunte le prove, anche tramite confessione, della corruzione perpetrata, «il Direttorio federale delibera:
1.o Al Torino F.C. viene tolto il titolo di campione assoluto d’Italia per l’anno sportivo 1926-27.
2.o Sono squalificati a vita con divieto di ricoprire cariche federali o sociali i membri del Consiglio direttivo reggente il Torino F.C. nei mesi di maggio e giugno 1927.
3.o Viene sciolto il Consiglio direttivo reggente successivamente il Torino sino ad oggi, i cui dirigenti si intendono squalificati per due anni perché nonostante i sospetti suscitati e le confessioni rese loro dai colpevoli, non hanno denunziato come di dovere i responsabili del deplorevole mercato.
4.o Al Torino F.C. vengono addebitate le spese dell’inchiesta conglobate nella somma di lire 10 mila, da versarsi entro il corr. mese di novembre.
Il Direttorio federale si riserva infine di meglio identificare per i provvedimenti del caso le responsabilità ed i responsabili di parte juventina».  

Il “mostro” svelato
Alcuni giornali escono in edizione straordinaria. È lo scandalo degli scandali, nel quale resta un grande punto interrogativo: chi sono i giocatori coinvolti?
Il clima nel ritiro della Nazionale a Bologna è tesissimo e il mistero viene svelato in anteprima agli azzurri da Enrico Craveri. Fulvio Bernardini, allora tra i “big” della Nazionale, così rievocherà l’episodio: «La bomba esplose allo stadio bolognese, mezz’ora avanti l’inizio della partita! Arrivò l’avvocato Craveri, dirigente della Juventus, negli spogliatoi dove stavamo preparandoci, e in un baleno la grave notizia arrivò sino a noi: al Torino era stato revocato il titolo di campione d’Italia e Luigi Allemandi, che l’Inter aveva acquistato dalla Juventus, squalificato a vita. Non so con precisione cosa provassero gli altri, ma ricordo che io mi sentii immediatamente svuotato di ogni volontà e con una grande tristezza nel cuore. Del resto, la partita con l’Austria mise in chiaro che tutti gli azzurri erano irriconoscibili. La squadra vera era rimasta negli spogliatoi, attaccata alle feroci parole dell’avvocato Craveri, l’unico, il solo sconosciuto protagonista della giornata».

Nella foto, Luigi Allemandi


Bologna a bocca asciutta
Al grande pubblico il nome del giocatore colpevole viene rivelato poco dopo: lunedì 7 novembre la “Gazzetta dello Sport” pubblica un’intervista da Bologna con il presidente Arpinati: «Il football italiano è pervaso da qualche tempo a questa parte da un sottile veleno che lo mina alle origini. Guai se il pubblico comincia a dubitare che anche nel football, giuoco collettivo e passionale al massimo grado, siano possibili losche ed interessate pattuizioni di singoli, intese a falsarne i risultati sportivi.
Non sono uomo da misteri. Dite pure, prima ancora che esca il comunicato ufficiale, che stanotte mi è stato possibile individuare il giocatore verso il quale il signor Gaudioso avrebbe esercitato con successo la propria opera di corruzione. Si tratta dell’ex juventino Allemandi, che ho intenzione di squalificare a vita. Ove altre responsabilità venissero alla luce, colpirò con la medesima fermezza: ne potete essere certi».
E il titolo di campione d’Italia – domanda il cronista – passerà ora al Bologna? «Assolutamente no. Il risultato dell’inchiesta è tale che ho riportato l’impressione precisa che talune partite abbiano falsato l’esito del campionato. Il Bologna non avrà perciò il titolo tolto al Torino; il campionato 1926-27 non avrà il suo vincitore. L’esempio servirà, ne sono certo, di monito e varrà, mi auguro, a migliorare la situazione calcistica che è in questo momento di una delicatezza e di una gravità senza pari».

Duro e “puro” 
 
L’esclusione del passaggio del titolo alla seconda squadra in classifica sarà poi variamente interpretato. Su tutto, aleggerà il senso di onestà intellettuale cui gran parte della vita pubblica di Leandro Arpinati, personaggio controverso come pochi, è ispirata.
Uomo di forte personalità, Arpinati è l’unico tra i gerarchi da cui il Duce accetti critiche anche spietate; fino a che la corda si spezzerà, fermandone bruscamente l’ascesa politica: antinazista di fronte all’ascesa di Hitler (lo storico De Felice lo definirà «politicamente un puro»), verrà denunciato il 3 maggio 1933 da Achille Starace a Mussolini e da quest’ultimo costretto alle dimissioni per generici “motivi personali”. Nell’occasione lascerà anche la presidenza federale. Assaggerà la caduta in disgrazia e il confino e infine si ritirerà a vita privata presso una tenuta agricola – Malacappa – a venti chilometri di Bologna sotto gli argini del Reno, di cui farà un’azienda modello. Qui, all’alba del dopoguerra, tra gli amici di opposta fede politica cui avrà concesso riparo, verrà abbattuto con spietata sbrigatività da un partigiano, davanti agli occhi sgomenti della figlia giovinetta.
Non è forse infondata dunque l’ipotesi che uno scrupolo personale gli abbia impedito di avallare quello che avrebbe potuto suonare come un favore alla squadra della sua città. Tanto più che già il “caso Pinato” aveva gettato ombre inquietanti su possibili volontà di favorire la squadra rossoblù; tentativo, come abbiamo visto, probabilmente stroncato proprio dallo stesso numero uno federale. Allo stesso modo, è molto verosimile che a spingerlo alla decisione sia stata la motivazione da lui stesso addotta: in quel campionato si erano verificati parecchi episodi torbidi, troppi per consentire a cuor leggero l’assegnazione del titolo di campione d’Italia.

Onore perduto
Il 9 novembre 1927 gli ormai ex presidente Marone e consiglieri del Torino emettono un comunicato ufficiale sulla vicenda: «Essi affermano sulla legge di onore che furono tutti estranei all’opera di corruzione svolta dal dottor Nani; colla coscienza tranquilla di poter dimostrare la nessuna partecipazione al fatto che ha dato luogo ai giudizi sommari ed ai provvedimenti punitivi contro i membri degli ultimi due Consigli direttivi del “Torino F.C.”, hanno deliberato di presentare istanza al Direttorio F.I.G.C. affinché sia aperta indagine per l’accertamento delle loro responsabilità individuali».
Ci sarà tra l’altro una breve appendice in sede di magistratura ordinaria (all’epoca ancora non vige la “clausola compromissoria”, che verrà introdotta, vedremo a suo tempo in quale avventurata congiuntura, solo negli anni Cinquanta). Eccone il racconto di Giuseppe Zanetti: «Come sempre avviene in queste circostanze, i colpiti si ritennero vittime di calunnie e di soprusi sostenendo di essere ingiustamente colpiti. A troncare queste manovre intervenne la stessa Federazione che invitò i dirigenti colpiti a ricorrere alle vie legali. Il processo ebbe inizio a Bologna ma, dopo la prima seduta, la querela venne ritirata perché troppo chiare erano le prove fornite al Tribunale dai dirigenti federali, prove tali da non ammettere dubbi sulla colpevolezza dei puniti».

Allemandi e gli altri


La sentenza definitiva, che sul piano sportivo viene emessa il 21 novembre 1927, a sorpresa chiama in causa anche altri giocatori e fa cenno a un giro di scommesse: «Il Direttorio federale, conclusa ogni indagine e completamente esperite tutte le inchieste connesse al deprecato episodio, conferma in ogni sua parte il precedente deliberato; converte nella squalifica a vita l’inflitta sospensione al giuocatore Luigi Allemandi, della cui colpevolezza è stata pienamente raggiunta la prova; richiama il giuocatore Munerati a una più esatta e rigida comprensione dei suoi doveri, in quanto un giuocatore tesserato non può accettare doni di qualsiasi entità o natura da parte di iscritti ad altre società; deplora e proibisce il mal costume delle scommesse, anche di lieve cifra, specie quelle tenute contro le sorti dei propri colori ed ammonisce per questa trasgressione il giuocatore Pastore; lieto di constatare come l’episodio che ha dato luogo alle accennate sanzioni sia circoscritto ad un solo giuocatore e non possa quindi gettare ombra né onta sulla grande massa dei giuocatori italiani, confida che il severo esempio valga a mantenere la più rigida probità sportiva in ogni campo ed in ogni uomo, onde il nome del nostro Calcio nulla perda della sua tradizione di nobiltà e di purezza; il Direttorio federale constata inoltre nulla essere risultato che possa fare ricadere colpa al Juventus F.C. ed ai suoi dirigenti; la domanda presentata dagli ex dirigenti del “Torino F.C.” per l’applicazione del decreto di amnistia del 25 agosto 1927 sarà presa in considerazione dopo che i ricorrenti avranno con chiarezza definite le responsabilità individuali. F.ti: Il Presidente: on. Arpinati Il Segretario: G. Zanetti». 

Nelle due foto, Munerati (in alto) e Pastore (in basso

Dubbi inquietanti
Nonostante il generoso impegno, anche letterario, il comunicato conclusivo lascia parecchie zone d’ombra. Appare evidente, infatti, che altri giocatori si sono macchiati di colpe gravi. E il sibillino accenno all’onestà della “gran massa” degli atleti del campionato, cosa sta a significare? Al di là degli scontati commenti ufficiali, impietosi contro Allemandi («unico elemento bacato » scrive “La Stampa”), negli ambienti sportivi è diffusa la sensazione che il difensore ex juventino, eccellente protagonista della partita incriminata, si sia prestato a “coprire” un collega, magari quello cui il pallone è passato tra le gambe. 
Il torinista Baloncieri anni dopo commenterà in modo inquietante la vicenda: «Venne provata la corruzione? E allora perché il presunto colpevole venne in seguito amnistiato lasciando il giudizio di colpevolezza nei confronti della squadra? Come mai nel corso delle indagini si era stabilito che il comportamento dell’indiziato risultava come uno dei migliori atleti in campo nella partita incriminata? La verità non si è mai saputa, né si saprà mai. Un fatto dubbio si era presentato agli inquirenti: quello di sospettare di un altro atleta oltre l’accusato che, per la sua dirittura morale, era inattaccabile. Il dilemma venne risolto in maniera sbrigativa. Qualcuno ha parlato e forse ha detto più di quanto sapesse. Conclusione? La revoca del titolo. La verità era che, alla base dello scandalo, si erano inserite fiere rivalità fra autorevoli esponenti del mondo politico ed industriale. Lo sport ne fece le spese e gli sportivi di buon senso guardano ancora oggi, con sospettosi interrogativi, la macchia che il nudo linguaggio delle statistiche riporta come un indegno marchio di infamia sportiva».
Nella sua storia del calcio italiano, Gianni Brera scriverà: «A questo punto, non sembra necessario essere Sherlock Holmes per appurare come sia andata, e subito dopo capire come abbia potuto Allemandi militare nell’Inter di Giovanni Mauro, vicepresidente della Federazione e temibile capo degli arbitri. I sottili ricatti reciproci avevano lasciato alla Juventus il terzino più dotato di classe (Rosetta) e avevano impedito al Bologna di acquistare un terzino che avrebbe fatto irresistibile coppia con il suo Monzeglio ai Mondiali 1934». 

Nella foto, lo juventino Rosetta

Per grazia ricevuta

Va notato che sul piano umano tra “Viri” Rosetta e Allemandi esiste all’epoca un rapporto molto stretto: il primo è stato l’uomo-chiave della carriera del secondo: nel 1925 è andato personalmente a visionare lo spilungone difensore del Legnano di cui gli avevano detto meraviglie per poi portarlo alla Juventus, con cui ha vinto subito lo scudetto, propiziandone anche l’esordio in Nazionale. I due però non sono sullo stesso piano: Allemandi nel 1927 è un campione in sboccio, Rosetta invece uno dei fuoriclasse assoluti del calcio italiano. Che Carlin sul “Guerin Sportivo” così eloquentemente racconta: «Rosetta è l’unico terzino italiano che non distrugga soltanto ma costruisca: non libera, passa. Poi è dei pochi che sappiano tenere la palla a terra». Insomma, oltre che un implacabile marcatore, anche una sorta di primo regista arretrato della squadra. Un campione dall’immagine inattaccabile.
La squalifica di Allemandi non sarà a vita. L’anno dopo la medaglia di bronzo conquistata dalla Nazionale azzurra alle Olimpiadi di Amsterdam verrà festeggiata dal Regime con una generale amnistia, grazie alla quale il grande difensore potrà riprendere la gloriosa carriera, culminata poi nel titolo mondiale. Secondo Giuseppe Zanetti, il merito sarà soprattutto della madre del giocatore: «La colpevolezza era privatissima e se l’Allemandi poté ripresentarsi sui campi, lo dovette unicamente alle domande di grazia avanzate dalla sua mamma, domande dirette al Presidente del Coni, al Capo del Governo, al Principe Ereditario e perfino al Re. Tutte queste domande, affluite sul tavolo della segreteria federale, finirono per essere portate in consiglio federale. Nessuno dei dirigenti, di fronte alle invocazioni di una madre, poté rimanere insensibile e si finì per emanare un’amnistia generale che comprese tutti i reati sportivi, nessuno escluso». 

Nella foto, una vignetta sul caso Allemandi pubblicata sul Guerin Sportivo dell'epoca 

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