mercoledì 25 gennaio 2017

Bentornato Verdi. I conti del Bologna tornano grazie alla prova del... nove


Questo è l'articolo sul ritorno in campo di Simone Verdi che avevo preparato prima di domenica 21 e che mi è stato "scippato" da Play Bologna (che l'ha pubblicato a nome Lucio Mazzi), il magazine free-press edito da Gianni Marchesini Editore e distribuito allo stadio in occasione delle partite dei rossoblù, in cui ho avuto modo di collaborare fino alla fine di dicembre. Uno spiacevole “incidente”, immagino. A cui pongo parziale rimedio ripubblicando qui il pezzo con la firma del vero autore.  

Prima di sabato 29 ottobre, a casa Verdi i conti tornavano alla perfezione. Lo confermava anche la prova del...nove. Numero che, indossato da Simone, non rappresenta certo la “definizione” di un giocatore impossibile o quasi da etichettare (prima o seconda punta? esterno? trequartista?). Poi il maledetto infortunio. Che ha interrotto una favola destinata a ricominciare (come si è visto dalle 2-3 magie create al rientro contro il Torino), fino all'inevitabile lieto fine.
Eppure Verdi era arrivato in estate come trascurabile scommessa, “un di più” da un milione e mezzo di euro, valutazione parsa perfino esagerata per un talento ancora inespresso e che oggi, invece, appare investimento lungimirante, ad altissimo tasso di rendimento (le ultime voci di mercato parlano di un cartellino che si aggirerebbe sui 10 milioni).

Cosa rende Simone diverso da tanti suoi coetanei? Forse la (sostenibile) leggerezza del sentirsi normale. Era così da bambino, quando rispondeva con un imbarazzato «boh» a chi gli chiedeva con quale piede preferisse calciare. È così oggi, a 24 anni, per nulla travolto dall'improvvisa celebrità e dalle attenzioni mediatiche che gli riservano perfino i tabloid inglesi (vedi un recente servizio sul Guardian). Anti divo per eccellenza, tutto casa e pallone, sempre disponibile per una tranquilla serata fra amici (Masina, Rizzo e Di Francesco quelli con cui ha legato sotto le Due Torri), assai meno per frenetiche scorribande discotecare. Davanti a tutto, la famiglia e Giulia, la fidanzata pavese.
Destro o sinistro, per lui non fa differenza. Perché, in entrambi i casi, è sempre roba mai banale, da stropicciarsi gli occhi. Tanto da far dire a Paolo Condò, autorevole opinionista Sky, che «in Serie A nove giocatori su dieci non possiedono la stessa tecnica di Verdi». Né la sua perfetta meccanica di corsa, aggiungono altri.

Ne erano consapevoli anche i compagni delle giovanili del Milan, quando a Milanello, dove era arrivato a 11 anni dall'Audax Travacò, lo soprannominavano “Magic Box”, perché in tanti, a cominciare da un estimatore come Leonardo, erano convinti che potesse ripercorrere la carriera di un certo... Gianfranco Zola. Nella Primavera allenata da Stroppa, lui, De Sciglio, Fossati, Ganz, Beretta: mica gente qualsiasi. Gente che un vecchio cuore rossonero come Donadoni teneva d'occhio da lontano. Poi si sa com'è il calcio. Spesso duro e ingrato, con chi sgomita per trovare un posto al sole. Debutto in prima squadra in Coppa Italia (10 gennaio 2010, contro il Novara), una girandola di prestiti (Torino, Juve Stabia, Empoli, contribuendo nel 2014 alla promozione in A, Eibar in Spagna, Carpi), qualche intoppo fisico, l'incapacità (normale in un giovane, ma delittuosa per un calcio che non sa aspettare) di esprimersi con continuità. C'è chi ingrana al primo colpo e chi, come nel suo caso, arriva un pelo lungo, sudandosi la scalata passo dopo passo, magari bisognoso di quella misteriosa molla che ti scatta nella testa quando meno te l'aspetti.
È stata Bologna, la molla. Che vuol poi dire respirare la fiducia di chi ti sta attorno. Gol come quello (da copertina) realizzato contro la Sampdoria, non nascono per caso, ma dalla consapevolezza di avere mezzi (tecnici, tattici e caratteriali), dalla serenità di poterci provare e dalla capacità di tradurre il tutto in prodigiose opere d'arte calcistica. C'è riconoscenza, nel Verdi che sulla fascia rincorre l'avversario come un terzino qualunque. C'è attaccamento a una maglia e a un ambiente che finalmente lo stanno ripagando con gli interessi degli sforzi compiuti: «La Nazionale? Ci pensassi davvero, farei un torto al Bologna. Adesso, nella mia testa, ci sono soltanto il rosso e il blu», dichiarava poco prima di quel doloroso “crac” alla caviglia. E invece, l'azzurro era ormai pura formalità: un semplice clic e la mail del Ct Ventura sarebbe arrivata in sede. Tutto già deciso, banalmente scontato. Come scontati sono subito fioccati i paragoni con i grandi bolognesi del passato: Carlo Nervo, parlando di lui, ha scomodato addirittura Kolyvanov.
Noi preferiamo invece pensare che Verdi sia semplicemente Verdi. Nuovo idolo che la Curva Bulgarelli (provate a chiedervi di chi è la maglia più venduta allo store rossoblù...) ha riabbracciato con una ovazione liberatoria. Sì, Simone è tornato. Finalmente...
Gianluca Grassi 

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